Primo: si possono realizzare opere d’arte che indagano sui meccanismi della concettualizzazione e della rappresentazione in cui il valore estetico di ciò che è rappresentato è secondario: gli stoppages étalon rifiutano, perché non pertinente, qualsiasi apprezzamento relativo alla loro forma, composizione, colorazione, bellezza.
Secondo: gli oggetti rappresentati, svuotati di valore estetico, diventano per così dire trasparenti: hanno valore solo in quanto rivelatori di operazioni condotte su di loro. L’attenzione si trasferisce dall’oggetto ai rapporti e relazioni che esistono tra oggetti.
Terzo: per far capire all’osservatore che il discorso verte su un metadiscorso e non su una rappresentazione, l’opera d’arte deve, diversamente da quella tradizionale che avvolge, coinvolgendo i sensi, produrre una sensazione di straniamento. Da qui l’espediente di presentare opere in cui è messo in discussione il confine tra ciò che è rappresentazione e ciò che è realtà (quale è la vera unità di misura? il concetto astratto di misura, il filo di un metro, il metro rigido curvilineo o la sua rappresentazione su tela?), di giocare sui doppi sensi che producono un cortocircuito di significato (un metro curvo è un metro?) e, infine, di utilizzare oggetti banali di ridotto valore denotativo e connotativo (chi mai ha pensato, prima di Duchamp, di usare per un’opera d’arte un oggetto tanto banale quanto un metro?).
Quarto: per passare da un medium di rappresentazione a un altro – per esempio dalla realtà bidimensionale a quella tridimensionale o da questa a quella concettuale – è essenziale operare per proiezioni, siano queste anamorfosi, traslazioni o anche metafore.
Duchamp è stato da molti critici considerato come il precursore dell’arte concettuale, che si svilupperà nella seconda metà degli anni Sessanta. Sono molte, infatti, le affinità tra i ready made duchampiani e le tautologie di Atkinson, Baldwin, Bochner, Burn, Darboven, Graham, Ramsden, Venet. Un’opera, in particolare, tuttavia ricorda le proiezioni dei 3 stoppages étalon. È One and three chairs (Una e tre sedie) di Joseph Kosuth: una composizione fatta da una sedia reale, una sua immagine fotografica ingrandita al vero e una definizione di sedia tratta da un dizionario.
Scegliendo un oggetto banale e moltiplicandolo per tre, Kosuth lo scarica di ogni valore iconico, con la conseguenza che il suo significato non risiede più nell’oggetto stesso in quanto immediatamente percepibile ma nella correlazione dei segni tra di loro, nella serie delle associazioni linguistiche ed extralinguistiche alle quali l’opera allude. Così la sedia è un oggetto perché è per noi anche immagine e concetto. È un concetto perché è anche immagine e oggetto. E, ancora, è una immagine perché è insieme concetto e oggetto.
Conclusione: l’arte, proprio come la realtà, si fonda su un insieme di relazioni proiettive, in un gioco di specchi ciascuno dei quali permette la rappresentazione dell’oggetto ma non riesce mai, da solo, aesaurirne il contenuto.
Ma se la conoscenza e l’arte partecipano di un gioco incessante di proiezioni, non può esistere differenza di principio tra concettualizzazione e metaforizzazione. La metafora, infatti, esattamente come il concetto, vive nello spazio proiettivo, essendo una figura fondata sulla omologia, sulla similitudine, sull’interscambio tra una realtà e una analoga o assimilabile. La sedia fotografata, la sedia oggetto e la sedia – parola sono, in altri termini, metafore l’una dell’altra.
Auna conclusione simile giunge Marshall Mc Luhan quando, sempre negli anni Sessanta, affronta lo studio dei media, cioè degli strumenti attraverso cui si veicolano i messaggi. Sono questi ultimi che permettono l’articolarsi e lo strutturarsi della realtà in un continuum metaforico. Lo stesso oggetto, nel suo essere tradotto da un medium all’altro, si chiarifica ma nello stesso tempo assume nuove connotazioni e aperture interpretative. Esattamente come il filo dei 3 stoppages étalon, passando da un medium all’altro, diventa una unità di misura, poi un reticolo spaziale e infine un conduttore di energia malica. O come la sedia una e trina nelle dimensioni dello spazio, dell’immagine e della scrittura.
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