martedì 28 ottobre 2008

Cosa dimostra Duchamp?

Primo: si possono realizzare opere d’arte che indagano sui meccanismi della concettualizzazione e della rappresentazione in cui il valore estetico di ciò che è rappresentato è secondario: gli stoppages étalon rifiutano, perché non pertinente, qualsiasi apprez­zamento relativo alla loro forma, composizione, colorazione, bel­lezza.

Secondo: gli oggetti rappresentati, svuotati di valore estetico, diventano per così dire trasparenti: hanno valore solo in quanto ri­velatori di operazioni condotte su di loro. L’attenzione si trasferi­sce dall’oggetto ai rapporti e relazioni che esistono tra oggetti.

Terzo: per far capire all’osservatore che il discorso verte su un metadiscorso e non su una rappresentazione, l’opera d’arte deve, diversamente da quella tradizionale che avvolge, coinvolgendo i sensi, produrre una sensazione di straniamento. Da qui l’espe­diente di presentare opere in cui è messo in discussione il confine tra ciò che è rappresentazione e ciò che è realtà (quale è la vera unità di misura? il concetto astratto di misura, il filo di un metro, il metro rigido curvilineo o la sua rappresentazione su tela?), di giocare sui doppi sensi che producono un cortocircuito di signifi­cato (un me­tro curvo è un metro?) e, infine, di utilizzare oggetti banali di ri­dotto valore denotativo e connotativo (chi mai ha pen­sato, prima di Duchamp, di usare per un’opera d’arte un oggetto tanto banale qu­anto un metro?).

Quarto: per passare da un medium di rappresentazione a un al­tro – per esempio dalla realtà bidimensionale a quella tridimensio­nale o da questa a quella concettuale – è essenziale operare per proiezioni, siano queste anamorfosi, traslazioni o anche metafore.

Duchamp è stato da molti critici considerato come il precursore dell’arte concettuale, che si svilupperà nella seconda metà degli anni Sessanta. Sono molte, infatti, le affinità tra i ready made du­champiani e le tautologie di Atkinson, Baldwin, Bochner, Burn, Darboven, Graham, Ramsden, Venet. Un’opera, in particolare, tuttavia ricorda le proiezioni dei 3 stoppages étalon. È One and th­ree chairs (Una e tre sedie) di Joseph Kosuth: una composizione fatta da una sedia reale, una sua immagine fotografica ingrandita al vero e una definizione di sedia tratta da un dizionario.

Scegliendo un oggetto banale e moltiplicandolo per tre, Kosuth lo scarica di ogni valore iconico, con la conseguenza che il suo si­gnificato non risiede più nell’oggetto stesso in quanto immediata­mente percepibile ma nella correlazione dei segni tra di loro, nella serie delle associazioni linguistiche ed extralinguistiche alle quali l’opera allude. Così la sedia è un oggetto perché è per noi anche immagine e concetto. È un concetto perché è anche immagine e oggetto. E, ancora, è una immagine perché è insieme concetto e oggetto.

Conclusione: l’arte, proprio come la realtà, si fonda su un in­sieme di relazioni proiettive, in un gioco di specchi ciascuno dei quali permette la rappresentazione dell’oggetto ma non riesce mai, da solo, aesaurirne il contenuto.

Ma se la conoscenza e l’arte partecipano di un gioco incessante di proiezioni, non può esistere differenza di principio tra concet­tualizzazione e metaforizzazione. La metafora, infatti, esattamente come il concetto, vive nello spazio proiettivo, essendo una figura fondata sulla omologia, sulla similitudine, sull’interscambio tra una realtà e una analoga o assimilabile. La sedia fotografata, la sedia oggetto e la sedia – parola sono, in altri termini, metafore l’una del­l’altra.

Auna conclusione simile giunge Marshall Mc Luhan quando, sempre negli anni Sessanta, affronta lo studio dei media, cioè degli strumenti attraverso cui si veicolano i messaggi. Sono questi ultimi che permettono l’articolarsi e lo strutturarsi della realtà in un con­tinuum metaforico. Lo stesso oggetto, nel suo essere tradotto da un medium all’altro, si chiarifica ma nello stesso tempo assume nuove connotazioni e aperture interpretative. Esattamente come il filo dei 3 stoppages étalon, passando da un medium all’altro, di­venta una unità di misura, poi un reticolo spaziale e infine un con­duttore di energia malica. O come la sedia una e trina nelle di­mensioni dello spazio, dell’immagine e della scrittura.

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